Ci sono momenti che ricorderemo per sempre, poiché le emozioni che li contraddistinguono sono vivide e piene di passione. I fantasmi e una resistente arrabbiatura.
Colorate come un fuoco ardente rosso e arancione. I fantasmi e una resistente arrabbiatura.
Ci restano impresse le emozioni positive? Oppure rimangono quelle che portano con sé una prospettiva di dolore e sofferenza? I fantasmi e una resistente arrabbiatura.
Era l’anno 2005 e Aurora se ne stava in casa aspettando un segnale dal suo apparecchio telefonico. Lo fissava ogni tre minuti e siccome era muto e silenzioso come un pomeriggio domenicale in un piccolo paese di provincia, ogni tanto lo incitava.
“Dai suona, da bravo. Anche solo uno squillo.” Ma lui non ne voleva sapere e lei, dopo aver ripetuto compulsivamente l’azione di controllo, lasciò stare.
Nel frattempo però dentro sentì un’ansia che le era familiare. Ogni tanto le succedeva di provarla e allora cercava un metodo per farsela passare. A volte andava a buon fine; altre volte invece no.
Quella era la sera in cui non era riuscita a sconfiggerla. Si immaginò di vivere una notte rovente dove si rigirava nel letto con i pensieri che si accavallavano uno sull’altro portandole ancora più confusione e disagio. Secondo lei la aspettava una notte insonne.
Finalmente udì uno squillo. Prese il telefono così velocemente che quasi le cadde a terra rischiando di romperlo.
“Pronto?” Rispose cercando di tenere un tono pacato e misurato. Era la chiamata che stava aspettando.
Ruggero dall’altra parte, la salutò con un tono festoso.
Lei rispose cercando di mostrarsi tranquilla, ma dentro un vortice di emozioni la stavano pervadendo. Cosa doveva fare? Fingere e dimostrare che era serena e che non stava affatto aspettando la sua chiamata? Fargli una scenata per essere stato mancante per oltre tre giorni?
No, forse la scenata era meglio non palesarla. I fantasmi e una resistente arrabbiatura.
“Che cavolo ha da essere così felice!? Io qui mi rodo cercando di capire come mai durante questo periodo non si sia fatto sentire nemmeno una volta!”
“Cos’hai, ti sento sulle spine, c’è qualcosa che non va?” le stava domandando lui. Non era riuscita a fare finta di nulla e il suo malessere stava venendo in superficie. Provava un contrasto di emozioni che non riusciva a gestire come voleva e qualcosa era trapelato. Forse una parte di lei voleva veramente che fosse così.
“Mah no ecco… pensavo tu mi chiamassi prima. Sono diversi giorni che non ti sento, mi sembra sia passato troppo tempo dall’ultima volta.”
“Sai, ho avuto da fare. Il lavoro mi ha assorbito talmente tanto che mi sono dimenticato di tutto ciò che avevo attorno.” Lui era un ceramista, componeva oggetti di ogni tipo con impasto di argilla e altre sostanze e poi li dipingeva sprigionando la sua creatività e fantasia. Aveva un’attività in proprio e la gestiva da solo. Di sicuro non stava senza fare nulla a oziare. Lo caratterizzavano capelli folti e spettinati; erano mossi e lui li lasciava andare dove volevano, senza controllarli. Aveva un’aria da artista disennato.
Aurora portava invece capelli lisci e morbidi, sempre ben pettinati e in ordine. Un colore chiaro che assomigliava a qualcuno proveniente da paesi nordici, mentre invece era genuinamente italiana.
“Certo capisco, ma possibile che non hai trovato cinque minuti per fare una chiamata?”
Ecco, proprio le parole che non voleva dire erano lì; pronunciate dalla sua bocca che invece avrebbe voluto tappare come si sigilla una bottiglia di vino. Quello che voleva evitare era spuntato improvvisamente; la sua rabbia che faticava a tenere sotto controllo. Soprattutto se si trattava di relazionarsi con persone che le erano vicine sentimentalmente, che la coinvolgevano emotivamente. Il rancore era lì presente come un’eco che cresce di intensità se ci si trova tra due montagne di fronte a un paesaggio sconfinato. I fantasmi e una resistente arrabbiatura.
Sentì un silenzio preoccupante dall’altra parte della cornetta. Immaginò che lui non si stesse rendendo conto di nulla, di come lei si sentiva, di come la feriva il suo comportamento assente.
“Ma sono qui. Non credevo ti arrabbiassi così; mi sembra di sentire mia mamma quando mi rimprovera come si fa con un ragazzino.” Disse. E terminò la frase con una fragorosa risata.
“Ma tu sei un ragazzino cogl…ne!” Pensò.
Lo sentiva ridere, possibile? “Io sono qui mentre soffro e lui se la ride”, si disse Aurora. La rabbia si stava trasformando in avvilimento e mortificazione. Dietro l’angolo la stava aspettando anche il senso di colpa. Improvvisamente dentro di sé un lampo di lucidità le ricordò che lui non era il suo fidanzato, non ancora almeno. E lei le stava facendo una scenata come si fa con un compagno con cui si è insieme da lungo tempo.
Aveva conosciuto Ruggiero solo circa dieci giorni prima ed erano usciti insieme due volte.
Ci sarebbe stata una terza volta? Per un attimo pensò che lui poteva anche chiuderle il telefono in faccia e mandarla a quel paese.
Ma i programmi di Ruggiero erano diversi e così sentendo che lei si stava impermalosendo, le disse:
“Non mi piace parlare al telefono, mettiamoci d’accordo per incontrarci. Sei libera giovedì sera?”
Aurora non si aspettava un invito del genere; anzi pensava che con la sua arrabbiatura avesse rovinato tutto e chissà se lo avrebbe più rivisto. Così, con una sensazione mista tra sconcerto e senso di sollievo, rispose: “Sì sì!”
Quando il giovedì arrivò provò un’impressione strana. Era emozionata per quel nuovo incontro, ma il bisogno impellente di sentirlo e di vederlo che le era capitato di avere la volta precedente, era passato. Aveva lasciato posto ad una chiara e lucida sensazione di libertà con un solo pensiero: “Siamo al giovedì, il week-end si sta avvicinando; sono felice di uscire e fare ciò che desidero.” Nessun programma in mente per un week-end con lui e al pensiero dell’uscita serale di quel giovedì, provava un senso di indifferenza. Come se non le importasse più. I fantasmi e una resistente arrabbiatura.
Poi subito dopo domande assillanti le giravano in mente.
Le avrebbe portato gioia quell’appuntamento?
Che seguito avrebbe avuto quella frequentazione?
Pensava che sì, ne sarebbe stata lieta, ma poi come avrebbe gestito il distacco da lui?
Un lui che sembrava esserci e non esserci; il dilemma di Amleto nella tragedia di William Shakespeare si addiceva a quel giovane stravagante e disattento.
Lo sentiva inattendibile.
Così da una parte pensava che forse sarebbe stato meglio non averlo mai conosciuto; si sarebbe ritrovata da sola con i suoi fantasmi da gestire, che erano rappresentati dalle sue paure. Una tra tutte il timore di stare da sola. In certi giorni quegli spettri affollavano la sua vita e la spingevano a rappresentare fuori di sé i suoi bisogni e le sue mancanze.
Come? Andando alla ricerca di chi soffriva, come lei.
“Allora è vero che ognuno di noi incontra il proprio specchio”, si disse pensando a quell’incontro che da una parte la faceva addolorare.
“Fino a quando avrò necessità di incontrare persone poco presenti?” Si domandò.
Non ebbe risposta. Accettò di essere così, di andare alla ricerca di chi la faceva soffrire, di avere dentro di sé quell’ area che era legata alla sofferenza e che voleva stare lì e stare male. Solo una cosa si ripromise:
“Vediamo di far durare poco questo patimento. Ogni volta di meno, fino a che non mi sentirò più attratta dal dolore che mi procurano i tipi inafferrabili.” Si ripromise.