Orfeo osservava la distesa di campi e alberi da frutto dal terrazzo; si allargava di fronte alla casa padronale. La villetta e il coraggio.
Poco distante era situata un’altra abitazione; una villetta su un unico piano, bianca con le persiane verdi.
Era incantevole, come un gioiello prezioso rifinito in ogni singolo particolare. La villetta e il coraggio.
Il padre l’aveva costruita per i due figli. “Questa casa è per voi, per quando vi sposerete.” gli aveva detto.
Rientrò in casa. All’idea di possedere tutto quel patrimonio per sé gli si gonfiò il petto. Un pensiero disturbante gli arrivò: “Non è tutto tuo, c’è anche tua sorella Vittoria e avrà diritto alla sua parte.”
“Chi se ne frega di quella stronza; adesso vive a Milano col suo fidanzato. Anche se ogni tanto litigano e torna a casa, ha già una famiglia e le sue grane. Non vorrà di certo restare in questo paese di campagna.”
Ogni tanto si metteva a fare i conti di quanto avrebbe guadagnato vendendo quella casa e tenendo l’altra. Oppure avrebbe potuto vendere tutto e trasferirsi all’estero, magari su un’isola paradisiaca. Con la fronte ampia e larga, di chi pensa molto e ha la passione dello studio; ma cosa ci faceva lui lì a lavorare la terra? Gli occhi neri piccoli ravvicinati, come di chi controlla ogni piccola cosa.
Non pensava ad una famiglia; la famiglia porta fatica e lavoro. Una moglie gli avrebbe controllato le spese ogni giorno, impedendogli di spendere come voleva il suo denaro. Oppure avrebbe approfittato della sua ricchezza per godersela lei stessa, sperperando ogni bene. Non voleva di certo sposarsi! La villetta e il coraggio.
Mentre lui faceva i suoi ragionamenti, entrò in casa Antimo suo padre. La faccia scura bruciata dal sole con rughe evidenti dell’età che avanzava e del lavoro faticoso che svolgeva ogni giorno. Una camicia marrone e blu a quadretti con le maniche tirate su, gli scarponi ai piedi sporchi di terra.
«Orfeo, tua madre ha da fare col cucito. Prepara qualcosa da mettere sotto i denti, tra poco si mangia e poi si torna al lavoro.» Controvoglia fece ciò che gli stava ordinando. La vita nei campi era dura. Lui non vedeva l’ora di vendere tutto.
Ma come poteva fare quei ragionamenti dal momento in cui i suoi genitori erano ancora vivi?
Come poteva cambiare qualcosa di quella vita? Una sorta di malessere lo pervase. Aveva un’idea in mente e pensò di incontrare un suo compaesano Salvatore. Era un tipo strano e un po’ toccato, forse avrebbe potuto aiutarlo.
Mamma Lucia entrò in cucina. «Preparo il caffè, ne vuoi?» Le guance rosee e piene, con i capelli raccolti in un concio. Indossava uno scamiciato bianco che adoperava quando cuciva.
«C’è una novità, Vittoria è tornata stanotte con la bambina. Si è sistemata nella villetta.»
Lui sentì un’ansia crescergli dentro. Vittoria è tornata? E che ci fa nella villetta?
«Come? Cosa è successo, ha litigato di nuovo con Amedeo?»
«Questa volta è una cosa seria, non vuole più tornare a Milano da lui. Ha detto che si ferma qui.» Orfeo non poteva credere alle sue orecchie.
«La villetta non è sua però, per metà è mia! Vorrei ricordarvelo.» Sentenziò con ira.
«Tu dimentichi che tutte le cose che vedi qui sono della famiglia e fino a quando siamo vivi io e tuo padre, non si toccano e decidiamo noi il da farsi.» Disse sua madre con tono perentorio.
«Lei l’ha sempre avuta vinta fin da piccola, perché era la figlia minore, ma ora con me non la spunta. Io la butto fuori oggi stesso da lì, hai capito?» E spintonò la madre in un angolo che lo guardò spaventata.
«Ora chiamo tuo padre!» gridò la donna.
«Hai sempre preferito lei a me, anche adesso che siamo cresciuti! Cosa ha fatto Vittoria per la famiglia? Se n’è andata e se n’è fregata di voi due; sono rimasto io qui ad aiutare il babbo, alzarmi presto al mattino e rompermi la schiena nei campi. Lei non ha nessun diritto di stare in quella casa!»
Se ne andò sbattendo la porta. La villetta e il coraggio.
Si diresse subito verso la l’abitazione, nonostante fossero appena le sette del mattino. E lì battè il pugno sulla porta, chiamandola ad alta voce: «Vittoria, Vittoria… esci fuori!»
La giovane si affacciò ad una finestra preoccupata, pensando fosse successo qualcosa di grave. I capelli folti e lisci scapigliati e gli occhi neri scuri in allarme; non sapeva cosa aspettarsi. Andò alla porta infilandosi in fretta una maglia di lana marrone sopra alla camicia da notte. Cercò di rassicurare la figlia di cinque anni che aveva iniziato a piangere, svegliata da quelle grida.
«Cosa c’è, è successo qualcosa?»
«Sì! E’ successo che tu qui non puoi stare, questa non è casa tua, hai capito?»
«Chi lo dice? Ho avvisato mamma e mi ha dato il permesso di sistemarmi qui con Elena; a Milano non torno più e non possiamo stare tutti assieme nell’altra casa.»
«A me non interessa dove vi sistemate, qui non potete stare. La casa è anche mia. Sei stata a Milano fino adesso e ora te ne vieni qui, bella e comoda, senza aver mai alzato nemmeno un dito. Mentre io mi facevo il mazzo a lavorare nei poderi, tu dov’eri?» Continuava imperterrito. La villetta e il coraggio.
Lei ebbe paura e non poté credere a cosa gli stesse dicendo. Gli chiuse la porta in faccia, lasciandolo fuori. Orfeo se ne andò furibondo e poco dopo incontrò il padre, che era stato svegliato dalla moglie.
«Ma che fai sei impazzito? Vittoria è nostra figlia come te, non la cacceremo via se vuole restare qui con la sua famiglia, razza di imbecille.»
«Ah sì? Ma sono stato io ad aiutarvi finora, non lei!»
«Certo che ci hai aiutati, infatti anche tu potrai avere una casa un giorno, quando ti sistemi.»
«Io non voglio una moglie o dei figli, io me ne voglio stare per conto mio!»
«Se avrai bisogno di una dimora la avrai, ma solo nel momento in cui ti sposi, ti fai famiglia, se no che senso ha?»
Orfeo non andò nei campi quella mattina. Chiamò invece l’amico Salvatore e gli disse: «Io ti devo incontrare, ci vediamo al parco del Reggio?»
Lì si trovarono e gli chiese se poteva fare una cosa per lui; gli spiegò nei dettagli di cosa si trattava.
L’altro trasalì e gli disse: «No, no, io non faccio queste cose!»
«Guarda che io so che sei già stato in galera e che una volta uscito hai preso dei soldi a strozzo. Quelli se non li ripaghi ti accoppano. Io invece posso darti centocinquantamila euro. Così ripaghi il tuo debito e con loro sei a posto.»
Lui ci pensò un po’ su. Era una cosa pesante quella che gli stava chiedendo, indescrivibile a parole. Ma aveva ragione; doveva restituire tutti quei soldi e più aspettava, più le cose peggioravano. Alla fine disse di sì.
A notte fonda, quando ormai tutti erano a dormire, si presentò Salvatore e Orfeo lo raggiunse sul vialetto di casa. Nel cielo la luna si nascondeva dietro nuvole scure, vaganti, che solo a momenti lasciavano trapelare un po’ di luce. Tutto attorno un buio pesto che li obbligava a guardare bene dove mettevano i piedi. Entrarono e si avviarono verso la camera dei genitori. Cercarono di fare piano e stare attenti al rumore che lo scricchiolio del pavimento faceva. Orfeo conosceva bene la casa e sapeva come muoversi. Aprirono la porta della camera da letto. I suoi genitori dormivano profondamente, il babbo russava come suo solito. Fece segno a Salvatore di avanzare e tirare fuori la pistola. La villetta e il coraggio.
L’amico lo guardò e in quel mentre si svegliò il padre che aveva il sonno leggero.
«Che fate qui, che c’è?»
Salvatore tirò fuori l’arma, la puntò verso Antimo ma la mano gli tremava.
«Spara!» Gridò Orfeo. Lui tentennò ancora e improvvisamente si rese conto che non voleva farlo.
«Non ci riesco, non posso!» Gridò all’amico.
«Spara ti ho detto!» lo incitava Orfeo.
«Non posso, andiamocene da qui!»
«Spara o lo farò io!»
Intanto Lucia si era svegliata e gridava con sguardo allucinato e pieno di panico. Antimo si era alzato nel tentativo di affrontarli. Ma lui non sparò. Puntò invece la pistola verso Orfeo che lo incitava. Dopo di loro non sarebbe finita. Erano d’accordo per andare anche dalla sorella e uccidere sia lei che la figlia. Ma perché non lo faceva lui? Perché non si sporcava lui le mani di quei delitti effimeri? Da anni lo derideva e lo sminuiva, improvvisamente era andato a chiedergli aiuto. E’ vero che non aveva una fedina penale proprio linda, si era macchiato di qualche furto e una volta di una rapina in banca, ma mai di un omicidio. E ora lo voleva spingere a sparare.
Pensò che aveva la pistola e la possibilità di salvarsi la vita, di non finire la sua esistenza in prigione, doveva solo fermarlo in qualsiasi modo.
Così cercò di mirare ad un ginocchio e sparò. Il sangue rosso vermiglio uscì spargendosi sui vestiti e Orfeo cadde a terra.
Salvatore buttò la pistola e scappò.
Correva a più non posso, cercando un po’ di luce per trovare la strada. La luna ora era uscita e rilasciava un bagliore luminoso.
Incontrò Vittoria sul vialetto. «Salvatore, che ci fai qui, cosa è successo? Ho sentito uno sparo!»
«Vittoria», se la ricordò quando la vedeva a scuola da ragazzina. Le era sempre piaciuta. «Stai tranquilla, credo sia meglio chiamare un autoambulanza, tuo fratello si è sparato per sbaglio un colpo ad un ginocchio.»