A volte ci sono ricordi che ci scombussolano fino a trascinarci in un tempo diverso. Ricordi in bianco e nero.
Quasi come un’onda del mare che approfitta della nostra distrazione per portarci da un’altra parte.
Bethany non immaginava che quel giorno di primavera dell’anno 2009, alcune memorie l’avrebbero sopraffatta. Ricordi in bianco e nero.
Era un sabato mattina. Si era svegliata da poco e stava poltrendo a letto; non aveva fretta. Pensava: “che meraviglia, posso starmene ancora qui, non ho niente da fare di urgente…certi giorni sono così intensi, un correre a destra e a sinistra”.
La sua gatta Chloe, la stava osservando accucciata sopra la trapunta. Era uno splendido incrocio persiano di colore bianco e rosso. Ricordava ancora quando, piccolina, l’aveva prelevata dal gattile e portata con sé. Per fortuna aveva una casa abbastanza ampia. Una villetta con veranda, distribuita su due piani. Un giardino curato circondava l’abitazione. Era a Monroe, non molto lontano dalla città cosmopolita di New York. Chloe si divertiva a saltellare tra i cespugli sul prato e a correre dietro a farfalle o moscerini. Oppure si metteva in agguato sotto al tetto sperando che i piccoli delle rondini che lì nidificavano, cascassero di sotto.
Fuori il sole stava sorgendo e i riflessi di luce intensa si intravedevano tra le tende ancora chiuse. Aveva voglia di godersi la giornata così saltò giù dal letto con vigore. La gatta sobbalzò e capì subito che era ora di muoversi. Lei aprì le tende con forza e subito dopo la finestra; il sole era già caldo, ma per fortuna l’aria frizzante rinfrescava le giornate. Sorrise vedendo il prato sottostante di colore verde brillante. E il faggio di fronte casa, stava mettendo le prime foglie. “La mia stagione preferita…ancora meglio dell’estate dove a volte il clima è cocente”, rifletteva, “è arrivato il momento di sostituire la trapunta”, decise. “Se non ricordo male in soffitta ci deve essere la coperta con i fiori rossi e gialli”. “Oggi vado a prenderla”.
Infilò una tuta dismessa, una maglietta comoda e le scarpe sportive. Non poteva salire lassù con le sue ciabatte da camera; troppo leggere. Il solaio della soffitta era in cemento armato ma senza piastrelle e preferiva non inciampare o ferirsi.
Prima doveva fare colazione, aveva appetito. Scese al piano di sotto e andò in cucina. Di solito mangiava di fretta, ma oggi poteva permettersi di rallentare i suoi ritmi. Iniziò a tostare il pane. Intanto il gatto le si strusciava addosso. L’odore del pane tostato si sparse in casa. Finito di mangiare, andò alla porta d’ingresso, la aprì e si guardò intorno. Arrivò fino alla buchetta della posta che si trovava al limite del giardino. Controllò, ma non era arrivato nulla. Forse al sabato mattina anche il postino era in vacanza.
Rientrò; era il momento di salire in soffitta.
Prese le scale fino al secondo piano e da lì si trovò di fronte agli scalini che la portavano lassù. Era davanti alla porta quando si ricordò che la luce all’interno di solito, era fioca e forse sarebbe servita una candela. Ma non aveva voglia di ridiscendere e così entrò.
Un odore acre la investì; era un misto di umidità e naftalina. Accese la luce che illuminò la parte centrale della soffitta, mentre altri oggetti si intravedevano, più lontano, al buio. La maggior parte erano sparsi sul pavimento. Al lato dell’ingresso stava un piccolo armadio e Bethany fu sicura di aver sistemato lì la coperta che le serviva.
Si avvicinò e fece per aprire l’anta quando improvvisamente cadde un grosso contenitore, facendo un tonfo che echeggiò tra le pareti della soffitta.
Era una scatola decorata con dei fiori, aveva un coperchio; cadendo, si era aperta. Non ricordava di averlo riposto lì dentro e così si abbassò curiosa di vedere cosa contenesse. Intravide un album fotografico e altre foto sparse.
“Le foto di famiglia!” pensò. Ne prese una in bianco e nero dove un uomo sui trent’anni, teneva il sellino di una piccola bicicletta. Una bimba bionda con le codine stava imparando ad andarci.
Lei indossava un vestito bianco con fiorellini colorati. Sorrideva felice a chi stava scattando la foto. Lui era suo padre, un uomo molto attraente, con uno sguardo burbero che non lasciava trapelare troppo le emozioni. In mano aveva una sigaretta. Indossava una camicia bianca con le maniche tirate su e un paio di pantaloni scuri. Si riconobbe subito nella bimba e cercò di ritornare con la mente a quei ricordi.
Ricordava bene quel momento. Si commosse e gli occhi le stavano diventando lucidi. Era una giornata di sole come quella di oggi, primaverile.
Lei e la mamma erano in cucina che stavano preparando la cena. Quello era un giorno speciale, il suo compleanno. Insieme, oltre alla cena, preparavano una torta per festeggiare.
Il babbo, Frederick, era rientrato come al solito dal lavoro. Una volta a casa le aveva salutate ed era andato da Connie, sua moglie; l’aveva baciata sulle labbra. Lei aveva sorriso e gli aveva chiesto:
«Caro, ti sei ricordato di quella cosa?>>
«Si, certo! L’ho sistemata nella rimessa»
«Perfetto» ammiccò lei con aria trepidante, tentando di non farsi sentire da Bethany.
Li stava osservando cercando di capire cosa confabulavano. Era il suo compleanno, ma il babbo quando era uscito di casa al mattino non ne aveva accennato; forse si era dimenticato di lei. Solo la mamma durante il giorno le aveva detto che avrebbero preparato una torta. Niente di più. La settimana prima aveva chiesto un regalo.
«Vorrei tanto una bicicletta, papà», gli aveva sussurrato a un orecchio una sera che l’aveva portata a letto.
«Mhm…vediamo, ancora sei piccola per una bicicletta». Dopo quella sera nessuna ne aveva più parlato e ora lei era in ansia di sapere cosa le avessero regalato.
«Papà!», urlò quasi, «ti stai dimenticando qualcosa per me, il mio regalo!». «E’ vero, il tuo compleanno! Che sbadato, non me lo sono proprio ricordato…abbi pazienza tesoro, ho avuto troppe cose per la testa questi giorni». Lei era rimasta allibita e senza parole.
“Come è possibile che se ne siano dimenticati”, pensò tra sé e si stava mettendo a piangere, quando il babbo l’aveva presa per mano e condotta alla porta di casa. La mamma li aveva seguiti, emozionata. Erano usciti e si stavano recando verso la rimessa.
«Cara, apri il garage, qui ci sono le chiavi», aveva detto lui alla moglie. Gliele aveva date mentre teneva la manina di Bethany che stupita, non sapeva cosa pensare.
La mamma alzò la saracinesca della rimessa e girò intorno all’auto parcheggiata, andando sul retro. Fino a che apparve di nuovo con una bicicletta rossa fiammante e un fiocco che adornava il manubrio.
«Papà, mamma! E’ bellissima…sono così felice!» Si ricordava che aveva voluto subito provarla. Il babbo dietro di lei l’aiutava a salire e le teneva il sellino intanto che lei faceva girare i pedali. Mentre riusciva a fare un paio di metri, la mamma aveva scattato quella foto. Che ricordi memorabili! Non li avrebbe mai più dimenticati. Oggi Connie e Frederick non c’erano più. Quando lei aveva avuto circa venticinque anni, se ne erano andati. Un incidente stradale li aveva portati via e lei era rimasta sola in quella casa grande e vuota. Le ci era voluto tanto tempo prima di superare quella tragedia, ma ce l’aveva fatta. Solo che ancora, quando li pensava, la ferita sanguinava. Non resistette, questa volta gli occhi le si riempirono di lacrime e non poté più trattenersi.