Segreti accessibili unicamente con il cuore

segreti accessibili unicamente dal cuore

A volte ci si chiede se le nostre vite rientrino nella normalità così come appaiono.

L’ordinarietà ci dà sicurezza e la regolarità ci tiene tranquilli. Segreti accessibili unicamente con il cuore.

Ma in realtà è proprio dove tutto sembra comune che spesso si celano le cose clamorose e innominabili. Segreti accessibili unicamente con il cuore.

Agnese quel mattino dell’anno 1969, si stava preparando per uscire di casa. Sembrava una mattina ordinaria.

«Se stai andando al lavoro, ti fermi prima a prendere il pane?», le chiese il babbo Aurelio, entrando in cucina.

«Ehm… se ci riesco», rispose lei. «Sai che al mattino tra orari dell’autobus e traffico intenso, diventa impossibile fermarsi da qualche parte prima di entrare in ufficio. Forse ci può andare Innocente?»

Innocente era suo fratello maggiore; aveva ventisette anni ed era più grande di lei di circa sei anni.

«Se si alza dal letto!», sbuffò il padre. «Da quando è successo quel fatto con tua madre, poltrisce ogni giorno più a lungo. Non so come comportarmi con lui!», disse avvilito.

«Forse ha bisogno di aiuto; uno psicologo che gli faccia tirare fuori quello che lo opprime», suggerì lei. Ogni tanto faceva presente al padre che lui aveva bisogno di qualcuno. Da quando la mamma era venuta a mancare, non era stato più lo stesso. Si era rinchiuso in sé e non aveva più voluto andare al lavoro o vedere gli amici. Per Agnese erano dei segnali oscuri e sentiva che lui stava scivolando in un baratro.

«Ma lascia stare, quale dottore? Vuoi che tutti ci prendano per matti? Sai come sparla la gente; sembra che provino piacere quando stai male!», rispose il babbo con tono adirato.

Quando faceva così lei si arrabbiava.

«Non capisci che da solo non ce la fa? E’ stato un colpo duro per tutti la morte della mamma, per lui ancora di più!» disse, con la voce piena di commozione. “Adesso non voglio mettermi a piangere” pensò, “devo uscire di casa e andare al lavoro…proprio ora non è il momento”, cercò di controllarsi. Non voleva lasciarsi andare; aveva una giornata di lavoro da affrontare. Se cedeva adesso, sarebbe stato tutto durissimo. Pensando che fosse colpa sua e della sua testardaggine se lei incominciava a sentirsi male, urlò: «Se continui così lui si ammalerà; cerca di capirlo…non ti deve interessare quello che dice la gente. E’ più importante come si sente lui! Se vuole stare a letto in questo periodo, lascialo fare…non essere pedante. Così è peggio, poi litigate e chissà cosa succede!»

«Sì, è sempre colpa mia… continuate pure così voi, che andrà a finire male per tutti!»

Lei non sapeva più cosa ribattere, un’altra battuta e si sarebbe sciolta in lacrime.

Così, cercando di rimanere calma, disse:

«Ora vado, provo a fare quella commissione.» Si offrì più per senso di colpa che per piacere. Avrebbe fatto di tutto per accontentare il babbo e non farlo innervosire. Si sarebbe infuriato ancora di più con suo fratello e lei aveva paura delle conseguenze. Quei due quando litigavano si attaccavano e da soli in casa, sarebbe potuta accadere una tragedia.

Uscì di casa e chiuse l’uscio. Si sentì sollevata. Fuori sembrava tutto tranquillo, erano appena le otto e un quarto del mattino e le abitazioni lì intorno erano silenziose. Invece dentro di sé c’era un miscuglio di emozioni; rabbia, paura e sconforto. Ogni volta che usciva di casa e lasciava i due da soli, provava un senso di agitazione. Non era la prima volta che al suo rientro, litigassero ferocemente e si picchiassero. La cosa che più temeva era arrivare a casa e sentire le loro grida fin sulla strada. Sia perché erano avvisaglia di aria di tempesta e sia perché anche lei, come il babbo, si preoccupava di quello che la gente diceva. Si vergognava profondamente che tutti sentissero. Segreti accessibili unicamente con il cuore.

Dopo aver preso l’autobus, arrivò al lavoro. La giornata sembrava scompigliata anche in ufficio.

«Agnese ascolta, questo ordine fatto la settimana scorsa, ancora non è arrivato a destinazione. Bisogna capire cosa è successo, dove si è bloccato. Per favore chiama subito il magazzino e controlla!» Le disse il responsabile di reparto, appena arrivata.

«Va bene, ora provvedo!», rispose lei.

Era ancora scossa dalle emozioni e già le si presentava una grana in ufficio. “Oggi è iniziata proprio bene…mettiamoci al lavoro”, pensò. “Almeno forse queste cose mi terranno la mente occupata e non penserò a casa.”

Aveva risolto il suo problema e ora si stava mettendo a fare i compiti di routine che faceva ogni giorno. Dentro di sé si sentiva più calma, per fortuna. “Forse sono io che faccio queste inutili elucubrazioni mentali. Probabilmente quando rientro è tutto a posto e non è successo nulla di grave”, si disse, tranquillizzandosi. “Certo che Innocente dopo che abbiamo perso la mamma non vuole reagire, non so come finirà”, pensava ogni tanto. Capiva il babbo; anche lui aveva a che fare con la perdita di sua moglie, il dispiacere che provava e il senso di smarrimento, ma era così rigido nelle sue idee. Questo non aiutava suo fratello.

Non stava più pensando a tutto ciò, quando ricevette una telefonata.

«Agnese, è tua sorella…vuole parlare con te», le disse la centralinista che le stava passando la chiamata.

Ebbe un sussulto e pensò: “Emma? Non mi cerca mai qui…è successo qualcosa!”

Lei non viveva con loro; era andata a convivere con il fidanzato circa due anni prima. In un altro paese, non lontano.

«Emma, come mai questa chiamata? E’ capitato qualcosa?»

«A dire il vero ancora non lo so. Volevo prima parlartene. Hai cinque minuti? E’ piuttosto urgente.»

«Ora sono al lavoro e non posso stare molto al telefono…ma dimmi!»

«Ieri sono stata dalla zia Alda; dopo la morte della mamma ogni tanto vado a trovarla, mi è di grande conforto trascorrere del tempo con lei.»

«Sì, certo…ma raccontami.»

«Beh, mentre parliamo le faccio un cenno di come sta Inno che in questo momento è depresso e lei mi dice: «C’era da aspettarselo, con una mamma come la sua.»

Le dico io: «nostra mamma è sempre stata molto amorevole e comprensiva, perché dici così zia?»

«Sì, ma Innocente mica era figlio di Matilde?»

«Cosa dici zia?! Ti rendi conto di cosa stai affermando? Di chi era figlio allora?»

«Ah, il babbo non vi ha detto niente!?» Fece lei come se parlasse di una cosa normale.

Sembrava essersi pentita di aver toccato l’argomento, ma ormai il danno era fatto. «Detto cosa?»

«Emma per favore non ho tanto tempo, ora mi stai facendo agitare e sono sul lavoro…cosa stai dicendo? Non ti capisco!»

«Insomma, per farla breve mi dice che Innocente è figlio di un’altra donna, che quando aveva circa tre anni, si è ammalata di malinconia ed è stata messa in manicomio! E’ morta qualche anno fa, soffrendo e in uno stato di solitudine!»

Le parole di Emma rimbombarono nella cornetta del telefono come un grido lancinante, mentre in realtà parlava a voce bassa. Agnese si sentì come se fosse finita dentro a un frullatore, dove ogni cosa si sovrappone all’altra e non sta più al suo posto. Per fortuna non c’erano colleghi presenti vicino a lei a notare il suo stordimento. Segreti accessibili unicamente con il cuore.

«Non è possibile, il babbo non l’ha mai accennata questa cosa!»

“Forse è per questo che a volte è così duro con Inno?” pensò nel frattempo dentro di sé, “Chissà quali ricordi gli risveglia!”

«Ti dico che è così, la zia mi è parsa molto sicura di quello che stava dicendo.»

Era arrivata l’ora di pranzo, era ora di andare a casa.

Agnese e Emma si salutarono, lei prese il suo autobus ancora scioccata e con la mente ricolma di pensieri.

Arrivò a casa. La paura di trovarli litigare aveva lasciato il posto allo sgomento per una donna che lei non aveva mai conosciuto e che aveva sofferto per molti anni della sua vita. Nella sua mente c’erano tante domande senza risposta.

Voleva parlarne col babbo, ma pensò che non lo avrebbe fatto quel giorno.

Se resisteva, avrebbe tenuto per sé questa cosa fino a che non fosse riuscita ad elaborarla. Poi si sarebbe confidata.

Entrò in casa era tutto silenzio. Il babbo le andò incontro e le chiese:

«Hai preso il pane?»

«Ehm… no, me ne sono proprio dimenticata. Inno è ancora a letto?» Gli chiese.

«No, è uscito e ha detto di non aspettarlo per il pranzo.»

Lei si sentì sollevata.

Vedeva suo padre con occhi diversi. Notava il suo fisico con le spalle ricurve e un peso forse troppo grande da portare; provò una compassione che la fece stare taciturna. Il giorno dopo avrebbe pensato come chiedergli quello che era successo anni prima e come mai non ne aveva mai parlato. Anche Innocente era all’oscuro di tutto. Fece un respiro profondo per trattenersi dal fare domande e criticare le sue scelte. Oggi non voleva essere lei il giudice.

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